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Giorgio CARLUCCIO

Macchine inutili. Dovessi estrapolare, dal glossario storico della critica, una formula buona a far capire in cosa consistano le brillanti creazioni di Giorgio Carluccio, userei quella con cui Bruno Munari, maestro indiscutibile, più ancora dell'arte novecentesca, dell'intelligenza applicata all'arte, indicava i suoi lavori in tre dimensioni forse più emblematici, cominciati negli anni Trenta del secolo scorso ancora sotto l'effetto combinato di Futurismo, Costrutivismo e Dadaismo, per poi essere proseguiti nel Dopoguerra in un ambito di avanguardia cinetica che é partecipe del Nouveau réalisme, lungo la direttrice speciale che allora univa Parigi a Milano, condividendo almeno in parte i percorsi di Calder e Tinguely. l'inutilità sta naturalmente nel fatto che queste macchine non producono qualcosa di meramente pratico, come di solito fanno, ma servono a generare esperienze sensoriali
e riflessive di puro carattere estetico, per le quali sono invece utilissime. rispetto a Munari, in particolare a quello degli anni Trenta, il più vicino, Carluccio stempera il formalismo razionalista insito nella struttura prevalente di queste macchine, il traliccio di derivazione industriale, rettilineo e verticale, a giorno, con l'ossatura, cioé, che si lascia traforare nuda dall'aria, attraverso l'accostamento con elementi di convivenza della più svariata morfologia, dal ready made di rocchetti di filo, posate, corde, tondini, chiodi, certamente memori delle bizzarrie di Man ray, a oggetti in terracotta elaborati per la bisogna, basamenti vascolari con propaggini biomorfe e rotondità imparentabili con quelle delle Nanas della Saint Phalle, ma anche uova, sfere numerate come palle da biliardo, occhi su specie di nasi. E sul tutto un colore, in prevalenza sovrapposto secondo logiche per nulla prevedibili, vagamente alla Mirò, che per paradosso conferisce ordine all'insieme, piuttosto che il contrario, oltre a una vivacità che sembra derivare direttamente dal piacere surrealista per il gioco creativo. Nulla potrebbe esserci di più serio, ci dice sottotraccia Giorgio Carluccio.
Vittorio Sgarbi

 

 

Giorgio Carluccio
Nasce a Tuturano-Brindisi il 20/10/1948. Studia presso il Liceo Artistico di Lecce negli anni ’64 -’68 e consegue il diploma in scultura, presso l’Accademia di Belle Arti di Lecce, nel 1973.
Nei primi anni ’70 opera nell’ambito delle avanguardie, attratto dall’espressionismo, dall’informale e dai concetti spaziali di Lucio Fontana. Negli anni ’80, in qualità di docente, si dedica alla sperimentazione delle discipline plastiche presso gli istituti d’arte e i licei artistici.       
 Riprende l’attività di scultore nel ’92, dal ’95 con le opere bifacciali in bronzo e pietra sintetica concretizza l’idea di un modo nuovo di fare scultura e a partire dal 2001 con l’uso di più materiali nella stessa opera prende corpo l’idea di superamento dell’unitarietà nell’oggetto artistico dei suoi elementi formali ed espressivi: rompere nell’opera scultorea lo stile, il modello formale omogeneo. La struttura compositiva, l’architettura dell’opera è ottenuta da un corpo-base e successive applicazioni aggiuntive: parti concepite come a sé stanti, tenute insieme da una interrelazione concettuale. Gli elementi del linguaggio si relazionano in uno spazio volutamente metafisico — Nell’opera una percezione visiva di discontinuità estetico - formale.
Giorgio Carluccio volutamente non è mai uscito dall’ “oggetto-scultura”, tipo istallazioni o altro genere, convinto che nuove forme di scultura possono trovarsi in linguaggi aperti a soluzioni nuove, non soggette a chiusure o vecchi formalismi, verso un liberismo costruttivo, non pregiudiziale, ispirato al superamento di provocazioni gratuite, di improvvisazioni prive di contenuti, come accaduto in questi ultimi anni.
 
 
 
 
Sensibili equilibri ...di Mirella Coricciati
 
Ci sono artisti che ricreano emozioni e difficoltà che proviamo tutti nella vita. 
Questa è l'Arte di Giorgio Carluccio, un piccolo ma prezioso punto di riferimento, una scultura la sua molto articolata e complessa piena di incertezze e difficili equilibri, come la nostra vita.
La sua presenza nell'arte è rafforzata dalla sua forma e da un uso raffinato di oggetti comuni del nostro quotidiano. (chiodi, forchette, corde, cucchiai, carrucole ecc.)
Materia e spazi sono per lui occasione di una comune esperienza di racconto, simbolo di identificazione con il luogo stesso. Ma lo spazio non è il solo elemento che caratterizza la sua ricerca plastica.
Più importanti sono gli aspetti metaforici che assumono i temi del gioco, un segno che in quello spazio è rappresentato da una necessaria azione informale.
La sua è un'arte dall'aspetto disordinato è un' astratto, con un senso pratico dell'azione plastica, quindi della sostanza che si trasforma in materia.  
Vi è in lui una grande capacità quella di oltrepassare il puro esercizio formale e di astrarre nella forma, sintetizzando ogni significato e ogni messaggio di una realtà umana inquieta, per poi affidarlo alla nostra interpretazione, alla nostra emozione perché lo si rinnovi. 
Anziché verso l'approdo ad una leggibilità naturalistica, la scultura di Carluccio punta all'estrazione simbolica, di quelle stesse immagini che coglie nelle inquietudini del nostro mal viver quotidiano e che sono fortemente radicate nell'esistenza stessa dell'uomo.
L'artista si scontra e si incontra, in un modellato teso e aspro, come quei giochi di equilibrio per bambini, tenendo insieme forti emozioni e passioni contrastanti. 
Le sue sculture sono tutto questo, sono spunti di un'intesa tenuta insieme da sensibili equilibri.  
Un grande racconto dell'esistenza, intenso sul piano simbolico, che si svolge così tra innocenza ed esperienza, tra i toni festosi del gioco e quelli interrogativi del rischio e della precarietà; tra la tensione ritmica del movimento e l'armonioso senso dell'instabilità. 
Dal grembo della sua memoria distilla la forma, senza curarsi troppo di una perfezione accademica da raggiungere. 
Non aggredisce lo spazio  ma lo riforma come un gioco, un ricordo, un pensiero. Semplicemente, ne costituisce la naturale emanazione plastica, lo armonizza e lo rigenera in una nuova costruzione del presente.
Così anche il volume diventa questione di linee, di segni, come chiodi che incidono e carrucole che danno movimento, così prende corpo e sostanza il gioco, con forchette e cucchiai. 
È come un soffio d'aria che riattizza ogni volta il fuoco del linguaggio, restituendogli quella forza mutevole della forma, capace di infondere alla materia il senso decorativo dell'ordine, con forme spigolose e tondeggianti. 
La sua è una vera sfida, tenere in un equilibrio non apparente, tutti quei sentimenti che fortificano o indebboliscono l'essere umano spesso fino a distruggerlo. 
Quel debole equilibrio fatto di ipocrisia nel mondo contemporaneo, nella scultura di Carluccio è fortemente solido e vincente, ma soprattutto è puro e vivo.
 
 
 
 
 

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